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Nass El Ghiwane o la storia del Marocco raccontata con la musica

  • testo di Rabii El Gamrani
  • 4 set 2015
  • Tempo di lettura: 5 min

La Storia di Nass El Ghiwane non può essere ridotta alla storia di un gruppo di ragazzi scapestrati che si sono trovati per caso, tutti insieme nella diversità delle loro provenienze, nello scenario di Casablanca degli anni Settanta. La Storia di Nass El Ghiwane è la storia di persone con nomi e cognomi, di una famiglia, di un quartiere, di una città e alla fine di tutto un popolo.

Le persone sono queste: Laarbi Batma, Boujmia Hagour, Omar Sayed, Allal Yaala, Mohamed Saadi (rimarrà nel gruppo solo qualche mese), Moulay Abdelaziz Tahiri (lascerà il gruppo nel 1974) e Abdelrahman Kirouche alias Paco (raggiungerà il gruppo nel 1974).


La famiglia è quella dei Batma, di Laarbi, Rachid, Hamid, Mohamed, Tarik, El Khansaa, Dounia: due generazioni di artisti, fra cantautori, teatranti, parolieri, scrittori e poeti. Laarbi Batma è tutto ciò ed è soprattutto uno dei tre fondatori di Nass El Ghiwane, gli altri sono Boujmia e Omar Sayed


Il quartiere si chiama Al Hay Al Mohammadi. Storico quartiere popolare di Casablanca. Uno fra i più poveri del paese, il più disagiato a livello economico, culturale e sociale. Nel cuore Di Hay Al Mohammadi si estende la più grande bidonville della città “La Carrière centrale”. Il tessuto demografico è fatto inizialmente di migranti. Gente che è arrivata nella città da tutto il Marocco durante il periodo coloniale e dopo l’indipendenza, alla ricerca di un’occasione di lavoro. Ma sappiamo come vanno queste cose, il sogno americano non è di casa a Casablanca. Ironia della sorte questo quartiere nonostante il degrado e la miseria ha dato fior di artisti, scrittori, resistenti, sportivi e intellettuali validi.


La città è Casablanca. Dar El Baida, la capitale economica del Regno. Sbucata dal nulla alla fine del novecento, nel giro di pochi decenni si è trasformata in una delle più grandi metropoli dell’Africa, cuore pulsante del paese. Industria, commercio, criminalità, emigrazione, manifestazioni, miseria, ricchezza, cultura, prostituzione , ville, bidonville, quartieri residenziali, sobborghi abusivi, proletariato, borghesia, palazzo reale, case fatiscenti. Casablanca è tutto il Marocco in miniatura.


Il popolo è quello marocchino. Negli anni in cui nascono Nass El Ghiwane (ufficialmente nel 1971), il popolo ha già passato anni duri: la colonizzazione francese, la lotta per l’indipendenza, la costruzione dello Stato moderno, la quasi-guerra civile fra le varie frazioni dell’esercito di liberazione, le manovre della monarchia. E lo aspettano ancora decenni più duri: gli anni di piombo, i tentati colpi di Stato, il gulag di Tazmamart, l’oppressione degli oppositori, la fuga di gran parte dell’intellighenzia marocchina, il conflitto nel Sahara Occidentale, le manifestazioni degli anni Ottanta, la corruzione, la povertà e la paura. Stop.

Lasciamoci tutto questo alle spalle e torniamo a Nass El Ghiwane. Il segreto del successo del gruppo risiede proprio nella qualità e nella diversità dei suoi componenti. Boujmia è originario di Tata nel Sahara, porta con sé i ritmi del deserto, la limpidezza della sua musica e la purezza della sua lingua. Laarbi viene da Shawiyya e riversa dentro il gruppo la vivacità della musica di quella zona, la sua ricchezza di folclore e dialetti. Omar Sayyed è di Souss, porta in dote il genio musicale degli Amazigh e l’autenticità ritmica dei primi abitanti del Marocco. Allal Yaala è di Howwara, nel sud del Marocco, è un’enciclopedia vivente di musica e di tradizioni musicali. Paco è un Maalem (maestro) Gnawi di Essaouira, fa dono della sregolatezza della musica degli schiavi, il loro misticismo e la loro estasi.


Omar Sayyed, Laarbi Batma e Boujmia vengono prima di tutto dal teatro, dal teatro popolare di Tayyeb Seddiki (un altro personaggio di cui vale la pena parlare). Nass El Ghiwane non solo diventano il simbolo di una canzone popolare impegnata politicamente e socialmente, raccogliente di tutti i ritmi e le tradizioni musicali del Marocco, ma proiettano il paese nell’internazionalità. Essi sono figli del contesto storico, culturale e politico del Marocco ma sono anche, forse inconsapevolmente, espressione di quell’ atmosfera internazionale che vede affiorare la cultura hippy, la ricerca del misticismo, il ritorno alla natura, le aspirazioni alla libertà e alla fratellanza.


Bisogna essere dei musicologi per capire il fenomeno di Gnawa da un punto di vista puramente musicale, ma diciamo senza la pretesa di essere esaurienti e con l’umiltà di essere smentiti che Nass El Ghiwane hanno rivoluzionato la musica popolare marocchina a più di un livello. Innanzitutto nella scelta degli strumenti musicali. Batma e i suoi compagni sono andati ad attingere nella “logistica” musicale popolare, valorizzando strumenti che erano considerati di minore importanza. Hanno introdotto il Bindir che di certo non era uno strumento di grande prestigio nella cultura musicale classicista. Laabi Batma ha scelto per sé Al Tabl nella sua versione magrebina. Yaalla suonava il Bouzouki. Paco era un suonatore fuori dal comune di Al Hajhouj o Sentir, uno strumento a tre corde fondamentale nell’esecuzione della musica Gnawa, (Paco veniva da un’esperienza importante come accompagnatore di Jimi Hendrix al Basso). Suonavano il Hezzaz. Insomma si può dire che Nass El Ghiwane impregnati come erano dalla cultura tradizionale marocchina, dal folklore musicale, mitologico, fiabesco-popolare, hanno interpretato questo attaccamento attraverso una scelta consapevole degli strumenti.


Dal punto di vista tematico, Nass El Ghiwane sono i precursori di tutti quei gruppi che nacquero dopo di loro e che eccelsero nella “chanson engagée”, con la peculiarità di esplorare la ricchezza e la diversità delle tradizioni linguistiche, culturali e musicali del Marocco. Nass El Ghiwane hanno fatto delle incursioni strepitose nel Malhoun, nella Qasida, nel repertorio sufi, nel teatro popolare, nelle tradizioni orali, rurali, Amazigh e Sahraui, amalgamando ritmi e storie, risuscitando vecchie mitologie e antiche leggende per raccontare l’attuale difficile di un popolo oppresso e impoverito, di un continente depredato e di tutta una comunità, quella araba, assoggettata al dispotismo e all’occupazione (la Palestina). Questa ricerca nelle tradizioni veniva poi trasformata in poesie e canzoni dal sapore contemporaneo, moderno e modernizzato. Anche le esibizioni di Nass El Ghiwane sul palcoscenico erano affascinanti.


Al loro cospetto il popolo marocchino si liberava, si innalzava per abbracciare il cielo dell’estasi. Si ascoltavano, e si ascoltano ancora, dal vivo, in casa, in macchina, nei caffè, nei mercati settimanali delle città e delle campagne sperdute, in montagna e sulla costa. Impossibile trovare qualcuno in Marocco e anche fuori dal Marocco che non conosca canzoni come Mahmouma, Rir Khoudoni, Al Hessada, Sabra e Shatilla. Impossibile trovare qualcuno in Marocco e anche fuori dal Marocco che non stimi Nass El Ghiwane, che non consideri Laarbi Batma e Boujmia (scomparsi prematuramente) come persone di famiglia. Impossibile dire tutto di loro, perché ogni canzone di Nass El Ghiwane è una storia che genera altre storie. Impossibile raccontare tutto di loro, e ora che sto per concludere, mi rendo conto che avrei potuto parlare più a lungo di Boujmia e del suo percorso personale come musicologo e teatrante, della sua morte misterioso. Di Laarbi Batma come scrittore, poeta, teatrante e attore di enorme modestia nonostante la popolarità. Di Omar Sayed e la sua carriera televisiva e cinematografica brillante. Di Paco come punto di riferimento di artisti locali e internazionali nel contesto della musica Gnawa. Avrei potuto raccontare delle condizioni spesso drammatiche nelle quali il gruppo faceva i suoi concerti, circondato dalla polizia prima ancora che dal pubblico. Avrei potuto dire che la mia prima “memoria culturale” custodisce il ricordo della prima volta che ascoltai la canzone sovversiva di “Mahmouma”, a casa della nonna a volume basso e di nascosto. Raccontare la storia di Nass El Ghiwane è raccontare la storia degli ultimi quarant’anni di un paese e delle sue genti. Potrei raccontare tutti ciò, ma forse è meglio ascoltare una loro canzone e lasciare che la loro musica seppellisca le mie parole e con esse ogni velleità di narrazione. Per quelle ci sarà tempo.

Questo articolo è apparso su ALMA.blog


 
 
 

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